Somministrazione delle immunoglobuline antitetaniche

 

Nella pratica clinica i pazienti che si rivolgono per cure urgenti ad un Pronto Soccorso devono sottoscrivere il consenso informato, per la somministrazione delle immunoglobuline antitetaniche.

Questo fenomeno è stato accompagnato da precedenti da ricordare e non ripetere.

Il 4 novembre 1993 la Sig.ra Garavaglia, Ministro della Sanità, decide finalmente di dare attuazione ad una direttiva europea del 1989, ordinando la sospensione dell’impiego dei succedanei del sangue (quali le immunoglobuline antitetaniche non testate), per la presenza dei marcatori virali dell’epatite C.

Nonostante il clamore ampliato dai mezzi d’informazione, qualche presidio della Sanità Militare, non da seguito della circolare della Garavaglia, tanto da continuare ad impiegare prodotti considerati inutilizzabili.

Il 29.11.95 interverrà, tardivamente, con telegramma il Ministero per bloccare la cattiva pratica, ma per due anni quelle fiale sono state sono state somministrate a militari di leva e di carriera.

In particolare l’attenzione si concentra sul lotto 12373 dell’emoderivato antitetanico di un colosso multinazionale del settore.

Una di queste fiale è stata somministrata ad un Maresciallo dell’Esercito, da anni donatore di sangue, per altro sportivo a livello agonistico e quindi in precedenza riscontrato costantemente in buone condizioni di salute, che nei mesi successivi all’inoculazione dell’emoderivato si vedrà riscontrare un’epatite C.

Il lotto di antitetanica 12373 per mesi viene trascurato dall’apparato istituzionale, ma il tenace Maresciallo provvede prima a proprie spese e poi con la collaborazione di autorevoli e prestigiose Istituzioni Pubbliche, a far analizzare il prodotto sospetto ricevendone concorde conferma sulla presenza di frammenti del DNA del virus dell’epatite C.

I ritardi delle istituzioni centrali rendevano talmente inquietante lo scenario, tanto da spingere il Maresciallo a presentare esposto alla Magistratura.

Il Maresciallo, nell’iter per il riconoscimento del danno da causa di servizio, si è continuamente confrontato con la burocrazia della sanità militare che ha impiegato tempi singolarmente lunghi per riconoscere l’epatite C riscontrata, dipendente da causa di servizio.

Nel merito il giudizio sembra ameno. Secondo la Commissione Medica Militare l’infezione risale ad una trasfusione effettuata cinque lustri prima, nel 1969.

Possibile che qualcuno ritenga nella Sanità Militare che l’incubazione dell’epatite C superi i 20 anni ?

Un soggetto riconosciuto per altro unanimemente in piena forma fisica nel corso della sua attività militare e sportiva e per di più donatore di sangue, fino al 1988, per oltre 20 anni dall’inizio della presunta malattia trasfusionale non avverte nulla ed i primi sintomi il Maresciallo li nota proprio in coincidenza dell’iniezione di cui al lotto di antitetanica n. 12373 ? Il Sottufficiale non ci sta ed inonda di documentazioni ufficiali il Comando della Sanità Militare, nonché a scanso di equivoci, la Magistratura.

Sta di fatto che anche la nostra redazione ha acquisito interessanti documenti :

  1. l’istituto Superiore di sanità nella nota del 5 ottobre 1995, riconosce che la recente introduzione di multipli trattamenti di inattivazione rendono “ragionevolmente sicure le immunoglobuline”, e che casi di trasmissione di epatite B e C si sono verificati prima dell’introduzione di tali nuove metodiche. In altre parole nel 1992, anno di somministrazione della immunoglobulina antitetanica data al Maresciallo, il rischio per l’infezione per l’epatite C era ufficialmente riconosciuto maggiore;
  2. nella Commissione Nazionale per il servizio trasfusionale riunita il 2 maggio 1996, si afferma che “l’efficacia di qualsivoglia processo d’inattivazione virale non è assoluta…”. I documenti c’è da augurarsi, saranno oggetto di riflessione per la Sanità Militare .

Aspettiamo ulteriori sviluppi.

 

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